Aldo Mondino / Tarek Abbar

dal 07 Aprile 2015 al 11 Aprile 2015
Le opere di Aldo Mondino (Torino, 1938-2005) in mostra in via Anfiteatro sono state realizzate nel 1961 e appartengono al primo periodo parigino dell’artista. Sono lavori su carta di grandi dimensioni, ricchi di colore e movimento, in cui si risente ancora l’eco dell’estetica surrealista - in particolare l’influenza di Tancredi di cui Aldo era assistente. Queste opere giovanili costituiscono il preludio delle Tavole Anatomiche, presentate nel ’63 alla Galleria il Punto di Torino.
Le Tavole Anatomiche sono per Mondino metafore della crisi della società contemporanea, descritta mediante gli organi del corpo umano; una sorta di mappatura interna dell’organismo ottenuta attraverso un groviglio di rapide pennellate colorate, dalle vibranti tonalità. È in questi primi lavori che Mondino inizia a tradurre concetti astratti in simboli tangibili. Estraneo a qualsiasi intento pedagogico, mai dogmatico o ideologico, Mondino, fin dagli inizi degli anni ’60, coniuga la serietà dell’impegno politico e l’intenzione eversiva con la leggerezza del gioco e dell’ironia. Agisce sempre in totale libertà, ma con meditata consapevolezza, mosso dal profondo desiderio intellettuale di far emergere la verità.

Anche i lavori di Tarek Abbar (Madrid, 1976) sono disegni su carta di grandi dimensioni e costituiscono la cartografia del suo progetto fantapolitico ZATO. Mappe tracciate con un minuzioso e ossessivo tratto d’inchiostro nero, alternato ad alcune macchie di colore rosso, in cui edifici ed elementi paesaggistici non identificabili si ripetono e si moltiplicano all’infinito. Come le tavole di Mondino, si tratta di “opere prime”, poiché qui presentate al pubblico per la prima volta.
ZATO è una sigla russa, abbreviazione di “Closed Administrative Territorial Formations": si tratta di città segrete sovietiche, centri di ricerche spaziali e luoghi di fabbricazione di armi biologiche, chimiche e nucleari; abitati senza nome, rintracciabili sulle mappe soltanto con il numero di chilometri che le distanziava da una città vicina.
Tarek Abbar inserisce il gioco e ribalta la storia catapultandoci in un tempo non determinato in cui il Giappone, anziché aprirsi all’Occidente, stringe relazioni politiche e commerciali con la Russia. Assorbito dall’Unione Sovietica e sotto la sua sfera d’influenza, l’arcipelago giapponese si trasforma in un concentrato di ZATO e collettivi industriali: le mappe urbane di Abbar testimoniano quest’immaginaria epoca Edo-Real-Socialista. In questi deliranti paesaggi metropolitani, realizzati in stile Yamato-e e privi di reali riferimenti geografici, l’alternanza straniante di prospettive aeree e frontali falsa le distanze e confonde la certezza della visione.

Le opere di Aldo Mondino e di Tarek Abbar, seppur formalmente molto diverse, s’incontrano e si compenetrano in via Anfiteatro nei comuni presupposti concettuali che sottendono le loro rispettive ricerche: la seria e profonda osservazione della realtà; l’amore per il viaggio inteso come ricerca dell’altrove; l’impegno politico stemperato dall’approccio ludico e dalla sottile ironia; lo sguardo puro che accoglie lo stupore e la meraviglia – tutto ciò che, sintetizzando, può essere definito come arricchimento tramite i voli dell’immaginazione. Osservando le tavole anatomiche di Mondino e le mappe immaginarie di Abbar, non ho potuto fare a meno di pensare a Flatlandia di Edwin Abbott Abbott.
Di un simile arricchimento per mezzo della fantasia e dell’immaginazione ci parla il reverendo Abbott, che descrive Flatlandia come uno Stato abitato soltanto da figure geometriche piatte: rette, triangoli, quadrati e poligoni che si muovono su un piano bidimensionale e vivono rigidamente ordinati in una soffocante struttura. Non possono nemmeno concepire la terza dimensione né sono in grado di ampliare la propria prospettiva di visione della realtà. Flatlandia è pertanto la metafora della piattezza e del rigore della struttura sociale vittoriana, raccontata con magistrale ironia.

Anche i paesaggi urbani di Abbar ci raccontano una piattezza, una bidimensionalità che rimanda al tradizionale stile pittorico giapponese Yamato-e. Eppure, per contrasto, essi evocano la tridimensionalità delle nostre città, la complessità del mondo che ci circonda, la profondità di un’Invenzione ben studiata e calibrata. Allo stesso modo, le piatte Tavole anatomiche di Mondino alludono al movimento e alla pluri-dimensionalità delle nostre emozioni – alla stereoscopica conformazione del nostro mondo interiore.

Come Abbott, anche Abbar e Mondino criticano con ironia. Tarek deforma la visione della nostra realtà attraverso una favola fanta-politica; Mondino, miope per tutta la vita, non metterà mai gli occhiali. Attraverso i loro lavori – e la carica immaginativa di uno sguardo “altro” – ci consentono di sognare, di accedere a una straordinaria visione. E, per moltiplicare ulteriormente questa visione, ho chiesto a Federico Florian di scrivere un racconto – una storia sull’incontro di Abbar e Mondino nella Casa Chiusa di via Anfiteatro.

Paola Clerico

Milano
CASE CHIUSE #02
By Paola Clerico
Via Anfiteatro 9
20123 Milano

Opening: 7 aprile 2015
8 -11 aprile 9.30 – 19.30
< back